martedì 23 febbraio 2010

Amabili resti: la storia di una vita e di tutto ciò che venne dopo.


Scrivere un commento serio,obiettivo e disincantato di “AMABILI RESTI” di Peter Jackson non è cosa facile.

Non lo è per innumerevoli motivi.

Il primo e più importante consiste in una forzata e necessaria ricerca all'interno di se stessi e della propria coscienza.

Una ricerca che ,dopo la visione del film, conduce ad una molteplice babele di emozioni e mature riflessioni.

Possibile,quindi, che quest'ultima opera del pluripremiato Peter Jackson possa indagare così profondamente i meandri della più misteriosa e irrisolta delle questioni che l'uomo pone al centro della sua vita dall'alba dei tempi?

Possibile che il regista neozelandese consenta la progressiva presa di coscienza di una auspicabile “vita” alternativa dopo la morte con una delicatezza ed un parallelo e grottesco drammaticismo senza precendenti?

La risposta cambia. La variabile fondamentale è lo spettatore. Solo lui può decidere di aprire il suo cuore e farsi trafiggere da questa meravigliosa,delicata e visionaria apologia alla vita o chiudersi in un silenzio assenso che potrebbe indurlo a non comprendere il lungometraggio nella sua interezza.

Una recensione di “AMABILI RESTI” aretorica e priva di falsi moralismi merita di essere analizzata senza alcuna remora, incurante della tipologia di lettore che potrà imbattersi in essa.

Cio' deve essere fatto per preservare il proprio giudizio e non influenzare l'opinione e l'emotività di chi non ha ancora potuto osservare con attenzione l'opera.

Norristown, Pennsilvanya, Stati Uniti. 1973.

Anno storico, empio di grandi cambiamenti.

In un trambusto politico e sociale di mutazioni che non saranno mai reversibili, Susan Salmon vive l'usuale vita di una qualsivoglia quattordicenne.

Protetta dall'amore dei genitori e un consolidato rapporto con la sorellina e il fratellino minori, sta per affacciarsi alla vita con la naturalezza e la paura che contraddistinguono la sua età.

Un pomeriggio di Dicembre,Susie, sperimenta i primi positivi effetti emozionali dell'amore quando il ragazzo del quale si è invaghita , si dimostra interessato ad approfondire la sua conoscenza.

Ritornando a casa, la ragazzina si imbatte nel suo vicino di casa che ,adescandola in un artiginale cunicolo in un campo di grano, abusa di Susie e la uccide.

La preadolescente abbandona il suo corpo ed inizia un onirico e visionario viaggio nel suo personalissimo limbo a metà tra terra e paradiso dove osserva con ironia,distaccamento e saggezza gli avvenimenti postumi al suo prematuro decesso.

Questo è il tragico,cinico e malinconico incipit di “AMABILI RESTI”.

La riflessione inizia dove la povera quattordicenne finisce tragicamente e,paradossalmente,il percorso celestiale della ragazza ,si diparte dove essa aveva lasciato il suo operato del tutto incompiuto.

La vita nel limbo si avvia definitivamente quando Susie è conscia di non aver accettato la sua morte così umiliante e priva di dignità. Quando è conscia di non aver potuto realizzare il sogno della sua vita. Il suo primo bacio.

Elementi che la costringeranno ad affrontare un vortice emozionale di non indifferente portata e confrontarsi con l'odio,la vendetta,l'amicizia, l'amore e l'irreprensibile volontà di ritornare fra i suoi cari.

“AMABILI RESTI” è uno struggente e surreale viaggio che ambisce a stimolare sensazioni forse dimenticate riuscendoci egregiamente.

E' il figlio di un libro idealmente perfetto e padre di una impressionista visione della vita post-mortem.

E' una leggiadra e malinconica armonia visiva che non scade MAI nel melodrammatico, sostenuta da un realismo ed una pertinenza che colpiscono lo spettatore.

Peter Jackson sfiora certamente il cattivo gusto nell'interpretazione sognante e giocosa del “cielo” di Susie ma ,nei momenti drammatici , regala una spettacolare e saturata panoramica del delicato purgatorio che ogni quattordicenne dovrebbe desiderare e dell'ovvio declino del rapporto fra marito e moglie che non possono accettare l'impunita morte della figlia.

Cio' che più colpisce è la straordinaria pertinenza della storia ai temi sociali più recenti affrontati e dipinti con un taglio di ripresa e di montaggio lontanissimo dal target hollywoodiano.

Con una chiave di lettura ancestrale ma laica,il limbo di Susie è narrato come un luogo dove non operano divinità ma solo l'immaginazione e la sfera emotiva dei suoi transitori abitanti.

In questo modo,il regista, abbandona una terra di mezzo fantasy popolata da maghi e urukhai e ,paradossalmente, vi ritorna per affrescare un inno alla vita e alla più approfondita delle riflessioni su temi molto scottanti dell'epoca. La pedofilia,la violenza,l'omicidio seriale, la paura di una fragile sicurezza anche nei sobborghi dei paesini di campagna più sereni, lo scoinvolgimento di un'intera vita, la perdita della figlia primogenita e amatissima.

A tutto ciò si unisce la complessa e criticata scelta di trasmigrare il fulcro sul quale si imperneava il libro su temi decisamente meno macabri.

L'accettazione della più umiliante delle morti porta, nel libro, ad una seria e commovente analisi sulla sessualità della protagonista che descrive con macabra precisione e tenero distaccamento i particolari della sua morte.

Il target del film prevede,comunque, un'ampia attenzione al pubblico adolescente e deve necessariamente trattare gli argomenti più truculenti in modo sapientemente celato.

Per essere più fruibile al pubblico generalista ,quindi, il film si spoglia degli elementi più violenti e inerenti alla sfera sessuale per concentrarsi sull'accettazione della morte e di un amore di visione nettamente platonica.

“Amabili Resti” è un film che emoziona e commuove. Solo l'originalissimo plot fornito dal libro potrebbe farlo.

Pare,invece, che Peter Jackson non abbia fornito una reinterpretazione del libro ma una revisione della storia perfettamente pertinente a quella scritta da Alice Sebold che ,però, si concentra su dettagli più “cinematografici”.

Ne è un esempio la descrizione di un limbo pre-paradisiaco così intensa , naif e prepotentemente personale che giustifica e raffigura le dichiarate lacrime del regista versate sulle pagine del libro.

A rendere grande questo progetto non collabora solo la regia e la grafica CGI ma anche un'accurata selezione del cast.

Mark Whalberg è stato descritto come “inespressivo e scarsamente caratterizzante”, Rachel Weisz è stata apostrofata come “mal impiegata o poco visibile”.

Viene da chiedersi quale film sia stato visto da critici di cotanta levatura.

La verità è ben differente.

Whalberg nella parte di Jack Salmon è perfettamente convinciente così come la Weisz deve necessariamente sopperire a delle necessità di script rimanendo una caratterista di levatura formidabile che fornisce un ruolo di madre devastata dal dolore di pregievole fattura.

Susan Sarandon è la nonna imperfetta che sostiene la sceneggiatura con momenti di notevole spessore comico NECESSARI a non condurre lo spettatore ad una repentina depressione.

I temi del film sono forti e il ruolo di Susie Salmon richiede un'abilità espressiva e mentale in grado di farsi carico di un'ovvia centralizzazione delle attenzioni.

Qui ,Jackson, non si sbaglia e ,se la scelta dei tempi e la selezione dei temi pare evidentemente resecata rispetto al romanzo, l'affidamento della parte della giovane ragazzina è ponderata.

Il Neozelandese si affida ad una sensazionale Saoirse Ronan.

Impossibile descrivere la perfezione,la profondità e il realismo dell'interpretazione.

Il distaccamento che,solitamente, contraddistingue la vita reale e la finzione cinematografica, grazie alla scelta di una simile protagonista viene totalmente a mancare.

Impossibile non fermarsi a riflettere sull'ingiusta e prematura fine di un'entità così delicata e indifesa. A questa malinconica sensazione (che accompagna lo spettatore per tutta la durata del film e anche dopo) concorre l'aspetto fisico della Ronan. Se ne sono accorti specialisti della fotografia e look maker che hanno enfatizzato la purezza del viso e la spettacolare scala cromatica degli occhi ,le cui immagini sono state scelte dalle migliori riviste di cinema come copertine.

Giunti a tal punto , ci si potrebe chiedere per qual fine si dovrebbe assistere ad una proiezione di “Amabili Resti” se ciò che scaturisce è una incomprimibile sensazione di tristezza e commozione.

Il film arrichisce chiunque sia in grado di aprirsi ad esso.

E' un corposo e composto turbinio di sensazioni che vengono troppo spesso represse e si manifestano in una serie di quesiti che possono trovare risposta solo riflettendo attentamente.

Perchè una vita dovrebbe meritarsi di essere spezzata in questo modo?

Con che spregievole criterio , una ragazzina incolpevole e amabile dovrebbe essere selezionata per la morte?

Quale incredibile forza e verace convinzione, porta un'anima così barbaramente privata del suo corpo a prendere coscienza della sua morte?

Con quale dolore è possibile comprendere che la vendetta è un sentimento inutile quando è perpetrata in funzione della propria morte?

Con che coraggio si matura e si decide ,infine, di dover abbandonare quel limbo così perfetto ed affrontare la consapevolezza dell'abbandono dei propri amati famigliari?

Sono molti i quesiti che lo spettatore può porsi alla conclusione del film e mutano soggettivamente.

A descrivere con realismo questo ingombrante composto di contenuti, collabora il mito che matura: Peter Jackson. Il neozelandese lontano dalla visione hollywoodiana dello star system che punta unicamente a svolgere in modo impeccabile il suo lavoro.

Ci riesce perfettamente con spettacolari piani panoramici naturali e virtuali,notevoli e dettagliati primi piani e un montaggio intelligente e studiato.

La compromettente e complessa figura del serial killer è magistralmente affrontata da uno strepitoso Stanley Tucci. Una colonna portante del film a prescindere dallo scomodo ruolo affrontato con una maestria che non conosce eguali.

Il sistema di ripresa è tradizionale: fotografia ipersaturata nelle sequenze “celestiali” e oltraggiosamente realistica nei frangenti di vita terrena.

Macchine da presa a pellicola con focale da 35 mm.


“Amabili Resti” rimane un capolavoro completo a metà.

E' coraggioso e riesce nel complesso intento di descrivere l'assurdità di un omicidio e tutto ciò che viene dopo esso con grazia e sperimentale fantasia elemento, quest'ultima, che genererà delle notevoli disparità di giudizio negli spettatori.

Colpisce per le scelte.

La scelta dei tempi,dei modi, della perfetta ricreazione di una Norristown anni 70 con una visione quasi documentaristica e per le musiche in equilibrio tra aggressività ed incontrollabile tristezza.

Potrà essere apprezzato solo da una sensibile ed illuminata porzione di pubblico che non potrà rimanere impassibile davanti al tremendo realismo di una giovane vita così mostruosamente spezzata, dalla curiosa metempsicosi finale accostata ad un montaggio acuto che ci rivela che i poveri e miseri resti di Susie ,narratrice così intima e sincera, non saranno mai ritrovati.

Non si può non rimanere basiti dalla progressiva e dolorosa accettazione della perdita da parte del padre e della famiglia che non potrà mai perdere il ricordo della scomparsa primogenita come non si potrà dimenticare facilmente la straziante sequenza finale che mira a realizzare il sogno di una Susie che è ancora fortemente legata al mondo reale.

Il film si chiude ,forse, banalmente ma costruisce la commovente riflessione finale su un'impalcatura di immagini evocativa e realistica che difficilmente potrà abbandonarvi.

L'augurio che Susie rivolge allo spettatore nella sequenza finale merita di essere onorato e genera un ambiguo senso di malinconia e arricchimento che rendono “Amabili Resti” un'esperienza cinematografica di ampie vedute e rara, leggiadra ed elegante bellezza.


sabato 13 febbraio 2010

AVATAR: Apologia al superomismo cinematografico


Quando il genere umano assiste ad una rivoluzione,generalmente, è conscio d'averla vissuta e provata sulla propria pelle solo dopo molti anni.La storia lo insegna.

E' un dato di fatto che ,quanto sopra esplicitato, non si sia verificato in questo 2010 quando, un regista ormai prossimo ai 60 anni, ha deciso di far sognare il mondo con un'opera che ,sebbene odiata dai puristi, farà parlare di se per decenni sin dal presente.

Sono state sufficienti sei lettere per avviare il cinema alla sua definitiva e ormai annunciata evoluzione: AVATAR.

Il sogno più recondito e proibito del giovane Cameron studente,regista di corti e regista di transatlantici dal macabro e infausto destino.

Quel Cameron che non voleva cambiare il suo cinema ma avviare il mondo a modificare radicalmente la sua antica visione del mondo cinematografico.                                                    

Qualora fosse questo il suo intento, a lui va il nostro più grande e sincero plauso: è ampiamente riuscito nel suo intento.                                                                                                                              

Quindi,dopo mesi di attesa, ordini il tuo biglietto nella multisala più tecnologicamente evoluta della tua regione.

L'hai pagato il doppio ma,fiducioso, sai che anche questo è il prezzo dell'evoluzione.

Dovunque, scorgi strani adesivi e curiosi poster che inneggiano alle nuove implementazioni digitali della sala e, in tal caso, ti accorgi che la pellicola a 35 mm sta per salutare definitivamente l'ultimo dei suoi affezionati. Anche il suo più convinto e strenuo difensore.

Occhiali attivi “X-PAND”,sistema digitale di proiezione 3d DLP, dolby digital.
Nomi che riuscirebbero a confondere anche il più colto degli inglesi.

La tua attenzione ricade ,quindi, sulla nuova multisala. L'omicida del vecchio e tranquillo cinema di periferia che ha chiuso o si è dovuto evolvere. Spesso fallendo.

Entri in sala con il tuo pop-corn sperando sia ancora fatto di mais e ti siedi guardando in faccia l'evoluzione.

Solo in questo momento comprendi che James Cameron sia riuscito realmente a modificare definitivamente la concezione di “cinema” insita nell'immaginario collettivo.Il suo AVATAR è un evoluto e curatissimo miracolo visivo che sorprende per la profondità e il concettuale realismo dello script. Certamente non per l'originalità dello stesso.

Anno 2154. Jake Sully è un marine degli Stati Uniti che,dopo un incidente nel corso di una missione in Venezuela, rimane paralizzato nell'arto inferiore.

Posto in crio-sonno per 5 anni, viene risvegliato per essere informato della morte del fratello.

L'attività di quest'ultimo si era concentrata ,prima della sua prematura dipartita, nella ricerca scientifica relativa all'ecosistema del planetoide Pandora, rigogliosa luna del pianeta gassoso Polifemo nella galassia Alpha Centauri.

Jake Sully, somaticamente e geneticamente compatibile con il fratello, viene selezionato per la missione originariamente affidata al defunto parente.

L'operazione consiste nel collegamento neurale ad un ibrido alieno-umano del tutto identico alla popolazione aliena di Pandora.

Il pianeta risulta essere empio di un particolare minerale ,l'unobtanium, particolare superconduttore a temperatura ambiente.

Compito dell'avatar di Jake Sully è quello di fraternizzare con la popolazione indigena del pianeta ,i Na'vi, conducendola diplomaticamente all'esterno della loro area di insediamento ricchissima del minerale ricercato dalla compagnia terrestre RDA.
Ciò che colpisce maggiormente in “AVATAR” è la sensazionale abilità dei designer di ricreare un onirico e celestiale spettacolo per gli occhi insito in un realistico e magnificiente universo vivente e pulsante empio di vita propria.

Un'ecosistema con flora e fauna perfettametne in simbiosi posti in in un'accezione del tutto ancestrale che mira al divino e al religioso.

Il suo sacerdote,mantra,guida,capo tribù è James Cameron che orchestra elementi tecnicamente impossibili da superare ad uno script poco originale ma di sicuro e marcato spessore.

Nell'ambito squisitamente tecnico sono tangibili risultati al di la di ogni più sfrenata e vivida immaginazione. Artisticamente e digitalmente ,il lungometraggio, offre una chiara dimostrazione del cammino che il cinema ha intrapreso e difficilmente potrà abbandonare. La terza dimensione non risulta essere un mero elemento di contorno ma è pilastro portante che suggella ed evidenzia con nettezza l'insuperata qualità di un prodotto che nasce e matura su tale metodica di proiezione.

Impressiona la capacità di fondere il mondo virtuale in CGI con quello umano con una sapienza ed una delicatezza senza pari.

L'universo creato dal nulla è vero e incantevole ed è in grado di raggiungere vette di qualità esorbitanti dettate da una fantasia artistica che non ha precedenti.

Tutto su pandora vi sembrerà empio di vita propria e non un cumulo di dati in ordine binario.

Tale è il risultato che regista e produttori si erano imposti sin dall'inizio.

A tutto ciò collabora la sognante e meravigliosa colonna sonora di James Horner che richiama le melodie indiane e ,parzialmente, quelle di Titanic.

Note positive per il cast che offre una globale e convinciente interpretazione ,frutto della solita e attenta ricerca di James Cameron..

Splendida la prestazione di Sigourney Weaver che,sebbene non sia immediatamente denotabile, si distingue per qualità di introspezione del personaggio.

Rimangono cari al regista i temi solitamente affrontati come il rapporto tra uomo e tecnologia e l'analisi del contatto tra mondi differenti. Si aggiunge un'insolita denuncia ecologista, velatissima ma carpibile.

Fedele ai suoi trascorsi, Cameron, opta per assegnare al film un titolo unico, privo di acrobazie grammaticali e ricercate proposizioni che possano porre in confusione lo spettatore. Come i semplici ma efficaci titoli delle sue prcedenti opere,anche AVATAR presenta un solo vocabolo nel titolo che viene mostrato, com'è d'uso in tempi recenti, esclusivamente alla fine del film.

Permangono le medesime note dolenti.

Croce e delizia del suo pubblico più affezionato ,il regista, narra di una convinciente e coinvolgente storia d'amore che ,a tratti, sovrasta l'identità stessa del film.

Con sapiente abilità narrativa l'opera coinvolge lo spettatore giungendo a pilotare perfettamente le sue scelte: sin da primo incontro tutti auspicheranno che i due protagonisti possano conoscersi e invaghirsi l'uno dell'altra e ,nel finale, il pubblico parteggierà con fervore per la popolazione dei Na'vi.

Si denotano dei riferimenti ed omaggi ad opere del passato con particolare rilievo per alcuni classici Disney.

Il finale, forse troppo scontato e buonista, è saggiamente ideato per aprire la strada ad annunciati sequel.


L'eredità di AVATAR:

Avatar delinea un nuovo orientamento dell'industria cinematografica ma non è il punto di inizio.

E' la perfetta collimazione del passato lavoro di un regista che offre ,nel 2010, una delle sue opere più remunerative e costose. Il suo sogno di infanzia che progettava sin dai tempi delle riprese sottomarine del TITANIC.

Non è il suo lavoro più maturo.

Affronta temi nuovi che rimangono ancorati alle strutture logiche dei suoi film precedenti dai quali prende in prestito molti elementi.

Il sentimentalismo di “TITANIC” e la proverbiale profondità narrativa del sottovalutato “ABYSS”, il veloce montaggio leggermente “zoomato” di “ALIENS” e la celata ironia di “TRUE LIES”.

AVATAR non è il capolavoro di Cameron ma ambisce a volerlo essere.

Con questo film , il regista ha sviluppato tecniche pionieristiche mai avallate che costituiscono la vera eredità dell'opera.

La nuovo videocamera “PACE FUSION 3D CAMERA” a stereo-obiettivo doppio creata per riprendere la medesima immagine da due inquadrature leggermente sfalsate nel medesimo istante e la doppia camera a spalla utilizzata per riprendere attori e creature digitali contemporaneamente sul green-screen costituiscono solo alcuni esempi.

AVATAR ci lascia la certezza di una trilogia e la creazione di un mondo che potrà accogliere una moltitudine pressochè illimitata di storie e di new-media.

Pandora,in pochi se ne saranno accorti, è dietro la porta di ogni casa,nei parchi di periferia,nelle lussureggianti foreste dell'america meridionale e nelle cascate canadesi,nelle scogliere più irte e nelle barriere coralline australiane.

Pandora non è nulla se non il nostro bistrattato e morente pianeta Terra.

E' una metaforica ,commovente e travolgente ombra digitale di una fin troppo triste realtà.Una paradossale dimensione dove la preghiera,la speranza e i valori morali di amicizia,lealtà e coraggio non hanno perso la loro battaglia contro i malevoli interessi dell'uomo vile e permangono veraci,condivisi e mai vani.Pandora è l'antitesi più definita e preoccupante di ciò che siamo e ciò che stiamo divenendo.E' il sogno recondito di chi applaude il film ma ,nella vita reale, contrasta consciamente ogni suo insegnamento.

Questo è “AVATAR”.




Concorso ai premi OSCAR 2010.

AVATAR concorre per i seguenti premi:

  • Miglior film

  • Miglior regia per James Cameron

  • Miglior fotografia per Mauro Fiore

  • Miglior motaggio

  • Miglior scenografia

  • Migliori effetti speciali

  • Migliore colonna sonora

  • Miglior sonoro


Distribuzione.

Il film è stato distribuito in 3 tiplogie di copie:

Copia in 2D su pellicola a 35mm in formato 21/9 e 16/9

Copia in digital 3D in 16/9 per proiezione con sistema attivo X-PAND e passivo DOLBY 3D

Copia in digital 3D in 21/9